Il 26 ottobre scorso il Senato ha approvato in via definitiva la proposta di legge recante Modifiche al codice sulle pari opportunità tra uomo e donna di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo per ridurre il "gender pay gap" nelle retribuzioni.
La legge si basa su due capisaldi fondamentali:
Novità introdotte in Italia dal provvedimento
Fino ad oggi il Codice delle pari opportunità prevedeva che le imprese con più di 100 dipendenti stilassero ogni due anni un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in relazione a vari aspetti quali lo stato delle assunzioni, la formazione, i passaggi di categoria o di qualifica, la retribuzione corrisposta, ecc.
La modifica legislativa sposta la soglia di applicabilità del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 alle aziende con più di 50 dipendenti prevedendo inoltre, per le aziende pubbliche e private che occupano fino a cinquanta dipendenti, la compilazione su base volontaria del medesimo rapporto sulla situazione del personale che conterrà molti indicatori, dai salari agli inquadramenti, dal reclutamento agli strumenti e misure resi disponibili per promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. L'elenco delle aziende che trasmetteranno il rapporto, e quello di chi non lo trasmetterà, sarà pubblico, rendendo i dati consultabili da lavoratori, sindacati, ispettori del lavoro e consigliere di parità, con sanzioni fino a 5mila euro per mancata o fallace trasmissione dei dati.
A chi viola l’obbligo di predisposizione del rapporto saranno sospesi per un anno i benefici contributivi eventualmente goduti se l’inerzia si protrae per oltre un anno dall’invito dell’Ispettorato del lavoro a adempiere.
Inoltre, nella disciplina viene integrata la nozione di discriminazione diretta e indiretta, includendo gli atti di "natura organizzativa, o incidenti sull’orario di lavoro" che sfavoriscono le donne. Nel mirino i trattamenti che "in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive", pongono o possono porre la lavoratrice in "posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri", generando "limitazione delle opportunità di partecipazione" e creando ostacoli alla carriera.
Obblighi e benefici della parità salariale per le imprese
La novella normativa istituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2022, la “certificazione della parità di genere” al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere.
Per l’anno 2022, alle aziende private che siano in possesso della certificazione della parità di genere è concesso un esonero, nel limite di 50 milioni di euro, dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, determinato in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50mila euro annui per ciascuna azienda. Inoltre, la nuova certificazione garantirà un punteggio premiale nell’assegnazione di fondi e nella partecipazione a gare e avvisi banditi dalle amministrazioni.
Per la sua concreta applicazione, la nuova certificazione necessiterà di un decreto attutivo.
La direzione dell’UE sulla parità salariale
A livello UE, lo scorso marzo la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva per rafforzare la parità retributiva di genere.
Nella direttiva, ancora da approvare, sono presentati i seguenti punti:
Rispetto a quanto prospettato dall’UE, la normativa italiana risulta meno incisiva, ma è uno step importante che spinge le aziende ad affrontare l’inquadramento di uomini e donne nella propria organizzazione, aprendo la strada alla rimozione delle disparità salariali tra generi.
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